Un approccio semplicistico alla psicologia applicata allo yoga ci dice semplicemente che non esiste una psicologia in tale contesto. Una possibile spiegazione è che quello che per la psicologia occidentale è l’obiettivo massimo per la visione yogica è solo un passaggio iniziale e quindi non così enfatizzato e nemmeno particolarmente strutturato.
Per la visione della nostra psicologia classica l’obiettivo è portare al conscio i nostri traumi e le nostre problematiche psicologiche e qui bene o male si chiude il cerchio: una volta conosciuto il significato dei sintomi inconsci il nostro problema psicologico dovrebbe dissolversi. Nella realtà delle cose esistono mille rivoli diversi e fronteggiare i nostri mostri può essere ancora più traumatico, difficile e forse anche destabilizzante,che viverne le conseguenze in una vita complicata. Da qui la complessità, lunghezza e difficolatà nel gestire l’analisi psicanalitica, fatta di anni di lavoro, insuccessi e difficilmente risoluzioni definitive. Fra queste difficoltà una delle più sottii e meno codificate è l’identificazione automatica e profondissima con il problema/trauma. Ognuno di noi subisce infatti l’automatismo del principio di identificazione col proprio status psicologico negativo che vorebbe risolvere. Io sono depresso, io sono traumatizzato, io sono ... curarsi significherebbe eliminare parte di noi stessi, de-identificarci, psicologicamente morire e non essere più nulla: cosa ci può essere di più difficile da affrontare della nostra eliminazione? Ed è qui che entra in gioco l’approccio yogico, che fa proprio della de-identificazione con i falsi ‘io’e della ricerca del proprio sè profondo il cuore della propria strada. Fin dall’inizio la pratica yoga ci porta all’osservazione dall’esterno del nostro corpo e della nostra mente per dis – identificarci con essi, proponendoci quindi che siamo altro, qualcosa di più spirituale, profondo e nascosto da riscoprire. Questa riscoperta ha come strumento principale la meditazione, a cui le pratiche iniziali sono propedeutiche, come ad esempio le asana (posture del corpo), il pranayama (controllo del respiro) ed i krya (le pulizie del corpo). Ma scendendo verso il nostro sè, dopo avere incontrato e superato il pensiero automatico della mente, inevitabilmente si fronteggiano i propri problemi psicologici, è un livello inevitabile che ci separa da quel sè così nascosto. L’accesso e l’emersione dell’inconscio sono quindi parte integrante del percorso yogico, come lo sono i principi dell’osservazione e della conseguente de-identificazione. Passare dal sono depresso al ‘ho la depressione’ già mi mi separa dal mio problema, ed è spesso difficile e traumatico liberarsi dalla malattia che ci può essere tanto utile: ci dice chi siamo, ci porta una serie di sentimenti di aiuto da noi stessi e dagli altri, riempe un vuoto di senso e di significati. Ma il lavoro di disidentificazione ci porta ad una lettura diversa ed infine a separarcene, ed una volta che questa zavorra ci è estranea possiamo tagliarne il cordone ombelicale e, finalmente, separarcene. Questo ci permetterà finalmente di tuffarci e poterci immergere in quel mare dove il nostro io è nascosto senza doverci muovere in passaggi melmosi e bui che ci impediscono di muoverci liberamente. E’ qui quasi divertente come termini quale dis-identificazione (dai nostri traumi psicologici) ed individuazione (come ricerca junghiana del proprio sè profondo), pur essendo parole opposte siano diverse sfacettature di un percorso comune, quello verso la liberazione. Carlo Zanella
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