Questo slogan, che completo è '(Ashtanga) Yoga is 99% practice 1% theory, practice and all i coming' è estremamente attraente per i neofiti (like me of course) e viene generalmente interpretato come 'mettiti sul tappetino e, appunto, pratica', il tutto spesso accompagnato da immagini quantomai Fitness di pose tanto difficili quanto attraenti per il loro senso di forza, armonia e bellezza.
Questa impostazione mi ha sempre lasciato come se mancasse un pezzo per almeno due motivi: il primo è che limita la pratica all'aspetto fisico, che nel corpus generale dello Yoga (ashtanga - astanga = otto rami dello yogasutra, dove la parte fisica - asana) ha un aspetto non preminente e, soprattutto, limita la pratica al momento del tappetino. Ma è lo stesso Sharath Jois a spiegare: cito testualmente: 'Ashtanga is not a style of yoga (e già qui partono le ola). Ashtanga yoga is a method. I’ve said this many times, but students need to be reminded of the fundamentals of Ashtanga yoga: the yamas and niyamas. They are the key ingredients to establishing and practicing yoga. It’s like making a dish from a recipe: You need these ingredients or else it won’t work, and you won’t be doing yoga.' Tutta la teoria dello yoga potrebbe in effetti chiudersi qui. L'Ashtanga deve quindi comprendere tutti gli otto rami a partire da Yama e Nyama (codici morali) che si dovrebbero praticare sempre, sul tappetino poi asana + pranayama, prathyara, dharana e dhyana che dovrebbero far parte sempre della pratica 'non solo fisica' e per il samadhi infine ci stiamo attrezzando. Quindi quando pratico Ashtanga ? Sempre. Interpreto infine a modo mio quell'1% di teoria: molto meglio praticare (da yama e nyama in poi) che leggere, razionalizzare e specularci.
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'Mantieni il calore, tieni tappato il vaso; trova il piacere nella ripetizione'. cit. J. Hillman da 'Psicologia Alchemica'.
Questa frase che parla di alchimia richiama in modo fortissimo la pratica dell'Ashtanga Yoga: 'mantieni il calore' è lo scopo dei vinyasa che vengono fatti fra le diverse posture/sequenze, 'tieni tappato il vaso' (che siamo noi, il contenitore trasformativo) è lo scopo dei bandha e 'trova il piacere nella ripetizione' è la base del metodo: pochissime serie sempre uguali a loro stesse ma che implicano un lavoro trasformativo enorme. Ecco, il lavoro trasformativo, evidente come obiettivo e come metodo nell'Ashtanga nell'alchimia è evidente solo come obiettivo, dato che il metodo è invece volutamente nascosto. Similitudini e distanze sono anche evidenti nel percorso pre e post junghiano (Hillman è forse il massimo esponente post-junghiano), che inizialmente si avvicina a quello Yogico, vedi la conferenza sulla kundalini, per poi spiegare in poche pagine perchè per l'occidentale lo yoga è dannoso e da evitare, in 'saggezza orientale', per terminare la sua ricerca, di vita più che professionale, votandosi appunto all'alchimia. Mi viene in mente che forse cambiano (o forse meglio, si nascondono) i segni ed i modi, ma i significati siano gli stessi. Una domanda che sento spesso è: 'pratico Yoga da anni e riesco ad essere felice solo quando sono sul tappetino a praticare, il resto della vita è attesa e vuoto'.
Ma lo yoga crea questo vuoto, lo riempe o forse può farcelo superare? Ci sono perplessità come questa che mi seguono per settimane, alle volte mesi senza trovare risposte, cercando di aggrapparsi di volta in volta a suggerimenti ed alle suggestioni che incrocio quotidianamente. E' nata da qualche scambio di parole con altri praticanti di Yoga e verte su quel senso di vuoto che ci accompagna quando, a fine pratica arrotoliamo il tappetino e lo rimettiamo in borsa, sentendo che è come se mettessimo nella sacca anche gran parte del valore della nostra vita, che può ritrovarsi solo quando srotoleremo il tappetino per la prossima pratica. La risposta mi è arrivata stamattina in forma di un pensiero del solito Jung : "Giunge al luogo dell´anima chi distoglie il proprio desiderio dalle cose esteriori. Se non la trova, viene sopraffatto dall´orrore del vuoto. E, agitando più volte il suo flagello, l´angoscia lo spronerà a una ricerca disperata e a una cieca brama delle cose vacue di questo mondo. ... Correrà dietro a ogni cosa, se ne impadronirà, ma non ritroverà la sua anima, perché solo dentro di sé la potrebbe trovare. " (Carl Gustav Jung, Il libro rosso). Questo percorso di ricerca introspettiva è comune alla pratica dello yoga, che ci porta quindi a vivere quella ricerca di interiorità di cui parla Jung (individuazione, cit.) e, se ci ritroviamo, allora riusciamo a riempire con questa nuova consapevolezza anche la quotidianità, che si svuota allo stesso tempo dei vecchi appagamenti; se invece quella interiorità riusciamo a sentirla solo quando pratichiamo senza riuscire ad afferrarla e farla nostra sempre, l'effetto è che la quotidianità si svuota soltanto, senza altra possibilità di ritrovare vicinanze con il nostro sè se non attraverso la pratica. Come, quando, dove e come afferrare il nostrò sè, è argomento di secoli di speculazioni filosofiche e meditazioni spirituali ma si, certo lo yoga può essere una strada per arrivarci e quel tepore all'anima che nasce dalla pratica ci fa sentire quanto ci stiamo avvicinando, afferrarla e portarla fuori dal tappetino è il nostro lavoro. Grazie a Alessandro Sigismondi, che ha pubblicato il post che condivido sotto, ho visto un video bellissimo si vedono pratiche yoga estetizzanti fra corpi e paesaggi splendidi. UAO ... ma è yoga ? il video è la pubblicità di una marca di abbigliamento e spinge il limite verso quello che chiamo 'yoga esterno' al limite, sono immagini che mi attirano e mi fanno pensare allo stesso tempo, quindi ci ho riflettuto un po'.
Ogni metodo yoga parte dalle basi di testi millenarie per condensarsi nelle pratiche attuali dai primi '900 attualizzandosi da pochi asana statici con l'inclusione di passaggi e movimenti presi da altre discipline, come la danza e la ginnastica. Da cosa nasce la differenza fra un corso di aerobica o crossfit ed una pratica di yoga? dal 'come' esegui tali posture/movimenti: tutti i maestri di qualunque metodo yoga (io ne ho contati più di 50) fanno riferimento a quel testo pre-modern yoga che sono gli Yogasutra di Patanjali, 196 'concetti' che spiegano il percorso dello yoga con obiettivo la liberazione, moksha nel samadhi (p.s. solo 3 dedicati agli asana!). La pratica consiste nel viaggio verso il sè interiore partendo dal mondo materiale esteriore: come comportarsi con gli altri e con noi stessi (yama e nyama), imparare a stare fisicamente (asana, le posture) e da qui sentire il respiro (pranayama), ritirarsi all'interno (prathyara), concentrarsi (dharana), entrare in stato di meditazione (dhyana) e da qui, se tutto va bene, unirsi allo spirituale (samadhi). Un percorso dallo yoga esterno (Bahir yoga) verso quello l'interno (Antar Yoga) attraverso gli 8 rami dell'astanga yoga. E' possibile fare questo tipo di pratica/viaggio anche nel modern yoga? Si, a me lo ho spiegato e dimostrato benissimo Stewart Gilchrist, uno dei massimi esponenti del modern yoga, insegnante di Vinyasa Krama, pratica fisicamente impegnativa e vista da fuori, esteticamente molto appagante ed appena passato dallo Yoga Festival di Milano. Prima, dopo e durante la pratica S.G. ri-porta costantemente al percorso dell'astanga: respira!, ascolta! osservati! concentrati! senti l'energia dentro di te! e sempre come un mantra sul fatto che non ti serve un tappetino nuovo, un corso nuovo, un vestito nuovo: pratica, respira e soprattutto, osservati. Ganesh is a god that has a lot of meaning, as usual in hinduism. Is a child, is an animal too, is born by tragedy, is giving one more chance. Is the protector of the game changer, of the house and of the family, every kind of family. Is the one to prey for a new travel, a new project, a new wishing in life. I hope that can be our friend for the next years. And if you recognize has also red footnails, yes, is a girl!
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